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Inventare è umano

Nel sito di Lomekwi 3, in Kenya, sono stati rinvenuti manufatti intenzionalmente scheggiati risalenti a 3,3 milioni di anni fa: ad oggi, sono considerati la più antica tecnologia conosciuta.

Quel giorno indefinito segnò l’origine del pensiero tecnico.

Da allora, l’essere umano non si è più fermato: dalla ruota alla scrittura, dalla stampa a caratteri mobili al motore a vapore.

Poi l’elettricità, la lampadina, internet. E oggi, l’intelligenza artificiale.

Inventare, in fondo, fa parte del DNA umano.

L’uomo inventa per migliorare, per progredire.

Siamo l’unica specie che, volontariamente, senza attendere l’evoluzione naturale, ha allungato la propria aspettativa di vita.

Dal morire per una banale febbre a trent’anni nel Quattrocento, siamo arrivati (almeno in Occidente) a vivere quasi ottant’anni.

Gran parte di ciò che l’uomo ha inventato, in fondo, mirava a garantirgli più tempo e migliori condizioni su questa terra.

Ma non ci bastava solo vivere più a lungo: volevamo anche vivere meglio.

È così che molte invenzioni hanno portato con sé una nuova forma di comfort.

Pensate al passaggio da un giaciglio di paglia a un materasso ergonomico in lattice: un salto che racchiude secoli di progresso.

Ogni invenzione è sempre stata un supporto.

La calcolatrice per i contabili, AutoCAD per gli studi tecnici, l’impastatrice per i pizzaioli.

Per millenni, abbiamo convissuto con la tecnologia come con un compagno di vita: vicini, complementari, parte dello stesso spazio vitale.

Non si è mai parlato di sostituzione.

Poi qualcosa è cambiato: è arrivata l’intelligenza artificiale.

E quella parola — “sostituzione” — ha cominciato a insinuarsi con sempre maggiore forza nelle nostre vite.

Le narrazioni si sono fatte invasive, alimentando paura, ansia e presunzione.

Perché per molti, davvero, l’IA è uno strumento in grado di rimpiazzare l’essere umano.

Ed è qui che nasce il vero problema.

Soprattutto se a crederlo sono proprio i titolari d’impresa.

L’idea è allettante: più macchine, più controllo. In teoria funziona così.

In pratica, il controllo non aumenta per forza: cambia solo forma.

La domanda che io stesso mi pongo, pensando alla mia azienda, è sempre la stessa:

ho bisogno di più efficacia o di più efficienza?

Perché, vedi, sono due concetti che appartengono a dimensioni diverse.

  • Efficienza = fare le cose nel modo migliore possibile (ottimizzando risorse, tempo, costi).

  • Efficacia = fare le cose giuste, cioè raggiungere davvero il risultato desiderato.

In parole semplici: si può essere efficientissimi nel fare qualcosa che non serve a nulla.

Il controllo può migliorare i processi, ma non garantisce risultati migliori.

Eppure, per natura, ogni azienda tende a concentrarsi proprio lì: sul processo.

Spesso però si sbaglia la chiave di lettura.

Vuoi efficienza (meno sprechi, più velocità, più ordine)?

Hai bisogno di strumenti, e tra questi, anche dell’intelligenza artificiale.

Vuoi efficacia (risultati concreti, decisioni giuste, direzione chiara)?

Hai bisogno di persone.

Vuoi entrambi?

Hai bisogno di persone consapevoli che gli strumenti restano mezzi di supporto, non sostituti.

La gestione della paura e dell’ansia verso le nuove tecnologie dovrebbe partire dall’azienda, prima ancora che dal singolo dipendente.

Non è ancora arrivato (e non è detto che arrivi) il momento in cui possiamo delegare completamente alle macchine le sorti di un’impresa.

Prima le persone, poi la performance: i risultati seguiranno.

Non smettere mai di investire nel capitale umano.

Le tecnologie cambiano. Le persone restano il cuore di ogni impresa.

Se nel tuo team noti tensioni, cali di motivazione o semplicemente senti che l’efficienza non basta più, possiamo aiutarti a ritrovare equilibrio.

Con Balance lavoriamo al fianco di professionisti e aziende per migliorare la performance dei team, ridurre gli attriti organizzativi e valorizzare le persone dietro ai risultati.

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